Il sangue fuori dalla zona Rossa

Due righe sul G8 di Genova del luglio 2001, la mia testimonianza, quella di un agnello che volontariamente andò al macello.

Di anni ne son passati oramai più di 10, molto si è detto, poco si è fatto per far “giustizia” sui fatti successi, nulla del resto è cambiato se non in peggio. Esempio ne è il caso di mesi fa, quello di un assistente capo di Polizia della Questura di Genova, condannato a tre anni e due mesi pe le violenze nella caserma di Bolzaneto (non scontate), che pur dopo la sua abietta condotta nei giorni del summit ha continuato a sfruttare la propria posizione per alimentare la sua sete di violenza.

Ma veniamo a  noi: a quei tempi ero un ragazzetto quasi ventenne, con un retaggio da comunità di paese e esperienze promiscue di attività politiche tra i vari gruppi politici di pseudo sinistra della comunità in cui vivevo la mia bucolica esistenza, cosa questa, aimè, che mi aveva portato a diventare un po’ figlio dei fiori con occhi pieni di speranza verso la volontà e le intenzioni del prossimo.

Con alcuni amici decidemmo inconsciamente di partecipare al G8 di Genova e io, con un amico e una amica coetanei, partimmo alla volta del capoluogo Ligure, arrivando nella mattinata del venerdì (il 20 luglio).

L’atmosfera era festosa, del resto il giovedì era stato tranquillo, e si incontravano manifestanti ad ogni angolo, per noi che avevamo partecipato solo a manifestazioni di dimensioni minori come il primo maggio a Roma, ci entusiasmava ogni cosa, dall’organizzazione alla varietà di persone li riunite.

Incominciammo a girare per la città, passando di corteo in corteo e pian piano ci iniziammo a rendere conto che qualcosa non andava, iniziavano a girare notizie di scontri con la polizia, cosa a cui non eravamo per niente abituati e che devo dire incominciarono a intimorirci e a sembrarci inspiegabili visto il clima rilassato che fino a quel momento avevamo vissuto.

Ad un tratto ci trovammo nel sit-in di protesta organizzato dalla rete Lilliput, in piazza Corvetto, dietro di noi una stradina in cui si erano seduti dei bambini portava all’area chiusa da recinti e definita “zona rossa”.

Venne distribuita vernice bianca, con cui ci pittammo mani e faccia e iniziò a circolare la notizia che stavano per arrivare dei poliziotti e che dovevamo segnalare la presenza del sit-in con un blocco non violento per evitare che i pargoli si facessero male.

Arrivò un primo plotone di poliziotti in assetto antisommossa da una delle tre vie opposte a quella in cui erano seduti i bambini, e vedendoci in piedi con le bianche mani all’aria in posizione di “arresa” si fermarono. Peccato che da un’altra delle strade arrivò un nuovo plotone che senza nemmeno rallentare incominciò a lanciare lacrimogeni che piovvero intorno a noi. E’ ancora vivida quella scena nella mia memoria: pur con espressione stupita dal comportamento dei suoi commilitoni appena sopraggiunti il comandate del plotone che si era prima bloccato e che sapeva della nostra inoffensività incominciò anche lui a dar ordine di lanciare lacrimogeni per poi partire alla carica, manganelli alla mano.

Pur provando a rimanere uniti io e i miei due amici ci dividemmo, io scappai, con le urla della mia amica nelle orecchie, annebbiato nella vista e nel respiro dai lacrimogeni, nella via dove dovevano esserci i bambini e che ora era deserta, rendendomi conto che l’unica via di fuga era stata bloccata da un muro di nocivo fumo. La paura però mi diede la forza di saltare la fumosa barriera, per ritrovarmi dall’altro lato, tra conati di vomito, soccorso da stranieri, penso Inglesi, che mi aiutarono a suon di acqua e limone.

Per fortuna nelle ore a seguire riuscii a ritrovare i miei due amici, la mia amica nella precedente carica era stata messa all’angolo insieme ad un’altra ragazza e manganellata sulle braccia come se non ci fosse un domani, e vista la passata e reciproca esperienza passammo il pomeriggio a scappare da una parte all’altra, fino a che non ci giunse la voce che un ragazzo era stato ucciso dalle forze dell’”ordine”. L’idillio della pacifica manifestazione era finito, a quanto pare eravamo cascati in una semplice carneficina.

Ci ritirammo alla sera allo stadio Carlini, trasformato in “accampamento” per i manifestanti, prima di cercare dove mangiare. Ci avventurammo quindi a piedi, prima di renderci conto che il punto ristoro era dall’altra parte della città, troppo lontano per noi completamente esausti dal fuggi-fuggi della giornata. Mi venne una crisi di rabbia e urlai che avevo fame e, cosa che ancora mi riempie di gratitudine, ci venne in soccorso una coppia di ragazzi di una casa che ci calò tonno e pane da una finestra.

Il giorno dopo, il sabato, partecipammo alla manifestazione globale, con noi si erano uniti altri tre nostri amici giunti nella mattina, spinti a venire dalla notizie dell’omicidio di Carlo. Ci furono ancora episodi di incontrollata violenza da parte della polizia, non ho mai visto così tante persone di una certa età con tagli sulla fronte come in quei momenti e la notizia delle retate compiute negli ospedali per mettere in stato di fermo le persone ferite impedì a buona parte della gente di rivolgersi ai medici per lenire le proprie escoriazioni, cercando di curarsi alla belle e meglio direttamente in strada.

Alla sera ritornammo ancora al Carlini a dormire per ripartire con il treno domenica, i nostri tre amici che ci avevano raggiunto in macchina si doverono fermare a Genova ancora qualche ora in quanto nella notte tutte e quattro le gomme della loro auto erano state tagliate. Mentre eravamo sul treno del ritorno, che arrivò la notte, ci giunsero le notizie delle retate e relativa carneficina ai danni della Diaz e del Carlini e ci sentimmo nuovamente fortunati.

Mi ricordo ancora di come nelle settimane a venire, in particolare alla notte, continuai a sentire incessante il suono degli elicotteri, che in quei giorni sorvolava la città e che si vede mi aveva particolarmente segnato e di come cambiai il mio modo di pensare dopo questa educativa esperienza.

Come fricchettone figlio dei fiori ero stato pestato, gasato e inseguito.

Era ora di diventare Black Block. E così fu…

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